alcuni aspetti della decentralizzazione economica

Non si tratta di Decentralizzazione dei poteri dal livello centrale a quello locale, ma di distribuzione locale delle attività economiche in base alla presenza di materie prime, personale e condizioni territoriali adeguate

 di Ac. Krtashivananda Avt. 

krtashivanandaPer sradicare lo sfruttamento economico è necessario un cambiamento strutturale socio economico e la decentralizzazione del potere economico. Si possono elencare tre forme di sfruttamento economico: politico-economico, socio-economico e psico-economico.

Lo sfruttamento politico-economico viene attuato attraverso il diretto controllo del potere politico. Questo accade nei paesi coloniali. Lo sfruttamento socio-economico continua attraverso il controllo indiretto della classe al potere e con la conseguente influenza delle attività economiche del paese. I paesi del terzo mondo vengono obbligati a vendere materie prime ai paesi ricchi e ad acquistare prodotti finiti. In questo modo c’è un doppio drenaggio dell’economia. Per aiutare la loro bilancia dei pagamenti i paesi ricchi concedono crediti, direttamente o attraverso la banca mondiale. La ragione principale è di sostenere il mercato e di mantenere stabile l’impiego nei paesi ricchi. Come risultato il debito dei paesi del terzo mondo ha raggiunto dimensioni tali da escludere qualsiasi possibilità di completa restituzione. Ciò è accaduto perché i paesi ricchi non hanno mai aiutato quelli poveri a sostenere una qualsiasi crescita reale della loro economia. Si sono interessati soltanto allo sviluppo del mercato. Questa è una forma di neo-colonialismo.

Lo sfruttamento psico-economico è il più sottile e pericoloso. Comincia con la soppressione psichica e continua con l’imposizione di lingua e cultura straniere. Anche i dogmi religiosi facilitano la soppressione psichica. Il risultato è la creazione di una pseudo cultura che dà vita ad una psicologia di sconfitta e ad un complesso di inferiorità. Si apre così la strada allo sfruttamento economico. Prendiamo ad esempio i paesi africani: i paesi coloniali hanno imposto lingua, cultura e religione ed anche un sistema politico-economico non adatto alle condizioni locali. Nel giro di un secolo sono riusciti a rimpiazzare la lingua, la cultura e la religione indigeni ed a creare una psicologia di sconfitta. Nonostante le potenze coloniali abbiano ormai lasciato l’Africa e l’Asia, il danno psicologico che hanno lasciato è tuttora enorme. Le attuali frontiere politiche dell’Africa non riflettono le realtà socio economiche, ma soltanto i retaggi dello sfruttamento coloniale. Condizioni simili esistono in tutto il mondo.

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 Zone Socio-Economiche Autosufficienti 

Per creare una società economicamente libera devono essere create delle zone socio-economiche autosufficienti. Queste zone dovrebbero formarsi sulla base di:

  1. Affinità culturale
  2. Affinità etnica
  3. Affinità nelle potenzialità economiche per l’autosufficienza
  4. Affinità negli standard e nei problemi economici

 

È già stato detto che lo sviluppo economico dipende dalla psicologia sociale, dal modello educativo, dai legami sentimentali e dalle infrastrutture. Facciamo l’esempio della popolazione Ewe dell’Africa. Ha popolato il Ghana, il Togo e il Benin. Potrebbe essere riunita in un’unica zona socio-economica. Similmente il Biafra o l’Eritrea dovrebbero essere zone socio-economiche separate. Esempi simili si possono vedere anche in Europa, per esempio i Lapponi della Scandinavia, i Baschi della Spagna e della Francia, in India i Bhojpuri, Imagahi, ecc. L’intera Terra potrebbe essere divisa in circa 250 zone socio-economiche.

Questa divisione in zone socio economiche, e non politiche, è essenziale per uno sviluppo socio-economico equilibrato. Esse diventeranno le unità amministrative di base che potranno costituire in un prossimo futuro un governo mondiale. I confini delle varie zone si possono espandere sulla base di:

  1. Fusione culturale
  2. Affinità economiche
  3. Buon sistema di comunicazione.
  4. Forte ed efficiente amministrazione.

Vale a dire le zone SE, una volta che giungono a medesimi standard di sviluppo si possono fondere in zone SE sempre più grandi. L’Europa diventerà una ZSE autosufficiente, di paesi allo stesso livello di sviluppo. Non ci sarà più possibilità di sfruttamento di un paese sull’altro.

Ad esempio, un giorno l’intero Sud Est Asiatico o l’intera America Centrale, potrebbero diventare distinte zone socio-economiche, creeranno, al loro interno, dei comitati di sviluppo economico che non dovranno interferire con il governo centrale nella loro pianificazione economica. Sarà il primo passo verso la decentralizzazione.

Nello studio di un progetto di sviluppo, di una zona economica, una politica economica e sociale, si dovranno tenere presenti i seguenti fattori se si vorranno gettare delle solide fondamenta:

  1. Le industrie devono nascere dove c’è disponibilità di materie prime necessarie alla loro produzione.
  2. Quando in un paese esiste una disponibilità di materie prime, queste, salvo casi particolari, devono essere lavorate in loco e non semplicemente esportate. Le esportazioni dovranno piuttosto consistere in prodotti finiti o semilavorati.
  3. L’importazione di beni industriali e strumentali (macchine utensili, attrezzature ecc.) e di prodotti finiti può essere consentita soltanto quando gli stessi beni non possono essere prodotti localmente.
  4. Le economie sottosviluppate devono incoraggiare la nascita di industrie ad alta concentrazione di manodopera piuttosto che di capitali, specialmente nel campo delle agro-industrie.
  5. Deve essere salvaguardato il mantenimento e lo sviluppo della flora e fauna locali.
  6. Deve essere valorizzato l’uso della lingua locale.

 

Il fatto che un zona socio-economica sia autosufficiente non significa necessariamente che sia in grado di produrre tutti i beni necessari alla sua popolazione, anche se questo dovrebbe essere l’obiettivo. Per lo meno, ogni zona dovrebbe avere la capacità di produrre i prodotti di base che rendano possibile il mantenimento in attivo della bilancia dei pagamenti. Ad esempio, i paesi del medio oriente potrebbero non essere in grado di produrre gli alimenti a loro necessari e i materiali tecnologici, ma potrebbero avere sufficienti entrate dal petrolio, per procurarseli. L’interrelazione tra le zone socio economiche dovrebbe essere di natura complementare. Questo approccio potrebbe facilitare:

  • Una crescita equilibrata dell’economia
  • Un livello uniforme di occupazione della popolazione locale
  • La disponibilità dei beni di consumo
  • La cessazione del flusso migratorio verso le aree più sviluppate
  • La fine della dipendenza economica di una zona socioeconomica da un’altra

Tutto ciò potrà facilitare la stabilità politica


 Decentralizzazione dei mezzi di produzione 

Questo è il punto principale per il quale il Prout si differenzia dai sistemi capitalista e comunista. Ci sono due caratteristiche principali nel capitalismo. La prima è la concentrazione dei mezzi di produzione in forma di monopolio o oligopolio nelle mani della classe capitalista (Vaeshya) la quale è in minoranza. Nella maggior parte dei paesi capitalisti dall’uno al 5 % della popolazione possiede dal 40 al 60 % delle proprietà private ed il resto appartiene quasi tutto al 20-25% della popolazione. Il rimanente possiede soltanto beni di consumo o al massimo la casa in cui abita. La seconda è che il capitalismo crea una classe alienata di lavoratori: il proletariato.

Nei paesi comunisti i mezzi di produzione erano controllati dai burocrati di partito, mentre il proletariato rimaneva la classe più alienata. Alcuni di questi paesi hanno cercato di introdurre la proprietà privata in aree molto limitate, ma il controllo monopolizzante dello stato era completo. Non c’era alcuna possibilità di iniziativa individuale su larga scala a causa della pianificazione centralizzata. I paesi dell’Est Europeo si sono rivoltati contro questo tipo di monopolio.

 Decentralizzazione o la socializzazione del potere economico
e del controllo dei mezzi di produzione 

Il Prout rifiuta il controllo centralizzato e propone la decentralizzazione o la socializzazione del potere economico e del controllo dei mezzi di produzione. Il concetto Proutista della proprietà è già stato spiegato. Tenendo presente questa visione le industrie dovrebbero essere divise in tre categorie:

 1. Industrie chiave e industrie su larga scala 

Sono quelle industrie che producono materie prime di base, le quali vengono successivamente utilizzate da altre industrie. Ad esempio l’acciaio e gli altri prodotti siderurgici, il carbone, il petrolio, altre forme di energia, beni ad alto contenuto di capitale ecc. Queste dovrebbero essere controllate dalle amministrazioni locali o provinciali. Il governo centrale dovrebbe rimanere il più possibile libero da forme di controllo economico. Potrebbero eventualmente rimanere sotto il suo controllo le industrie di materiale bellico, quelle atomiche e altre industrie ad alto rischio.

Le industrie su larga scala necessitano di un complesso sistema amministrativo, non possibile per una gestione cooperativa e dovrebbero quindi essere controllate dall’amministrazione pubblica. Le industrie sottoposte a controllo pubblico non devono comunque intendersi esenti dalla necessità di una amministrazione efficiente ed accorta, sempre necessaria in tutte le aziende. Il ruolo del controllo pubblico è quello di evitare che la loro politica commerciale ed industriale produca alterazioni dannose al tessuto produttivo o sociale.

 2. Industrie di medie dimensioni 

Tutte le industrie di beni essenziali devono essere gestite in forma cooperativa. Queste includono il tessile, i materiali da costruzione, le tecnologiche, l’industria dell’automobile e di altri beni di consumo. Queste industrie cooperative dovrebbero svilupparsi in associazione alle industrie chiave. Un esempio: attorno all’industria chiave del petrolio dovrebbero crescere in forma cooperativa le industrie petrolchimiche. In modo simile attorno all’industria dei filati dovrebbero crescere in forma cooperativa le industrie tessili. Diverse attività tecnologiche potrebbero crescere attorno all’industria metallurgica.

 3. Industrie di piccole dimensioni 

Questo settore comprende le industri edili, l’artigianato ecc. La proprietà di queste imprese dovrà essere privata in quanto la capacità personale è qui il fattore più importante. La proprietà di queste imprese potrà essere sia individuale che societaria.

Ci si potrà chiedere, in quale modo potrebbe essere amministrata un’industria cooperativa, specialmente quella di grandi dimensioni come l’automobilistica?. Per uno o più componenti automobilistici possono essere sviluppate diverse unità produttive. Ognuna di queste potrà essere amministrata come una unità produttiva autonoma. Le cooperative che producono ciascun componente (ad es.: carrozzeria, motore, cruscotti…) dovrebbero crescere attorno alla linea di assemblaggio, che sarà, a sua volta, un’unità cooperativa separata. Quindi per i diversi componenti ci saranno diverse unità cooperative. La linea di assemblaggio potrà fissare la quota di produzione. Ci sarà un controllo di qualità e i prezzi dei componenti saranno predeterminati. Ogni unità guadagnerà in base alla quantità dei pezzi prodotta, ed ogni unità dovrà contribuire a mantenere un dipartimento di ricerca.

I membri del sistema amministrativo di una cooperativa saranno eletti sulla base di “un membro, una azione, un voto”; alcuni saranno selezionati tra i tecnici più esperti per formare il consiglio di amministrazione. Ci sarà inoltre un comitato sociale esterno alla cooperativa, in qualità di supervisore delle funzioni costituzionali, ma senza il potere di intervenire nelle attività  quotidiane.

A titolo di esempio, il 50% dei profitti saranno tenuti dalla cooperativa per la tassazione e l’autofinanziamento, il rimanente sarà diviso in due parti, delle quali una sarà spesa in programmi sociali per la comunità. Di questi sarà responsabile un comitato sociale a livello comunale. L’amministrazione locale parteciperà alla pianificazione delle attività economiche del proprio comprensorio.

In questo modo si potranno porre le basi per la decentralizzazione dei siti industriali e delle amministrazioni. Il sistema con cui grosse aziende, detenendo il know how, estendono il loro controllo su molte altre più piccole dovrebbe essere abolito ed anche il controllo centralizzato delle industrie.

Attraverso un programma educativo di massa, si potranno mettere milioni di persone, nelle condizioni di poter sviluppare un’attitudine psicologica e delle capacità tecniche adeguate, spirito di iniziativa e di imprenditorialità. Solo allora, attraverso la socializzazione dei mezzi di produzione, si potrà raggiungere l’obiettivo della democrazia economica.

 Cinque principi della Decentralizzazione Economica 

Le materie prime non devono essere esportate, ma lavorate in loco per produrre reddito per la popolazione locale. Un esempio: Il comune di Massa Carrara ha circa 200 cave di estrazione di Marmo Bianco e circa 100 aziende che vi lavorano. Estraggono i blocchi di marmo che esportano direttamente, (il comune prende circa 17 euro/ton) mentre una volta il marmo veniva lavorato in loco e dava un reddito alla popolazione. Massa Carrara è un povero, nonostante la materia prima pregiata: il marmo bianco, anche se vi sono circa 5000 addetti nell’indotto della lavorazione del marmo, produzione di macchinari.  Il marmo di Massa Carrara

Garantire a tutti la disponibilità delle minime necessità compresi cibo, vestiti, case, sanità, istruzione. Il diritto al lavoro è un requisito fondamentale per la garanzia delle minime necessità. Lo stato deve sostenere chi non è in grado di essere autosufficiente. Questo non è solo un diritto individuale, ma anche una necessità per lo sviluppo collettivo.
Incrementare costantemente il potere d’acquisto delle persone ridistribuendo la ricchezza. Sviluppare l’utilizzo delle risorse locali e sostenere la produzione di beni essenziali per soddisfare il consumo dell’intera popolazione.
La popolazione locale ha il diritto di decidere dell’economia locale, quindi le imprese devono essere il più possibile gestite da cooperative o da sistemi aziendali che permettano ad ogni lavoratore di essere imprenditore dell’azienda per cui lavora, partecipando agli utili, ai rischi e alle decisioni.
Le persone che non vivono in una zona economica o che non intendono viverci stabilmente, non devono interferire nel controllo dell’economia locale.