Un’Europa di Zone Socio-Economiche Autosufficienti?
un’Europa di zone-socio-economiche autosufficienti
L’Europa come unione di Zone-Socio-Economiche Autosufficienti e sviluppate allo stesso livello? Che sia necessario per questo una Ital-EXIT, per ripartire con il piede giusto?
Se l’unione fa la forza è anche vero che se non vi è un obiettivo comune condiviso, e soprattutto una Costituzione, Codice Penale e Codice Civile, e procedimenti Amministrativi comuni, come afferma P.R. Sarkar nella sua teoria economica PROUT, il castello di sabbia così sviluppato per l’Unione di Paesi, non reggerà alle tempeste e mareggiate del tempo. Oggi “i grandi animali e i piccoli stati non possono più sopravvivere”, afferma ancora Sarkar, per cui sarebbe necessario attrezzarsi in diverso modo.
L’idea di Europa è buona, diceva un britannico intervistato prima del voto, ma ciò che non va bene è Bruxelles, cioè la sua amministrazione.
In questa idea è condensato il problema di un’organizzazione tra gli stati, che all’apparenza e secondo i manager di Bruxelles ‘sono tutti uguali’, ‘tutti sullo stesso piano per capacità economica e forza strutturale’. Ma non è vero. La scure delle regole europee, il 3% rapporto deficit-PIL, Libera circolazione delle merci… , si è abbattuta su paesi preparati, meno forti o debolissimi, allo stesso modo. Se questa idea, premessa di tutta l’azione e progettualità europea fosse sbagliata, e lo vediamo, immaginiamoci le conseguenze nefaste per i cittadini europei.
Considerare tutti gli stati sullo stesso piano è un primo problema irrisolto della UE
Vi è in Europa una grande varietà di organizzazioni statali, di Codici Civili, Penali, Costituzioni, livelli di sviluppo economico, capacità di acquisto, livelli di vita e retributivi. Facciamo un esempio, Estonia, Lettonia e Lituania al momento dell’ingresso in UE avevano un salario medio di 250 euro pro-capite, in Italia circa 1.000 euro. Questa differenza potrebbe non significare nulla agli occhi dei funzionari UE, ma dal punto di vista pratico ha tutte le ragioni per creare scompensi rovinosi nell’equilibrio anche precario interno.
Se un lavoratore estone viene in Italia, lavora nell’edilizia e costa leggermente meno di un italiano. Incassa emolumenti mensili circa 4 volte superiori al suo salario medio e l’italiano resta senza lavoro, a causa dell’offerta a più buon mercato. L’estone porta all’estero valuta italiana e se l’operazione si moltiplica per le decine di migliaia di operatori esteri, la cifra dell’esportazione di valuta verso l’estero sale di molto e gli investimenti interni calano. Doppia fregatura.
Abbiamo paesi deboli per lo scarso sviluppo industriale, agricolo, del servizi, del settore educativo, altri più o meno avanzati e altri forti in alcuni settori.
Un esempio la Grecia dove non è sviluppata l’agricoltura in modo integrato e le industrie mancano del tutto ad eccezione della cantieristica e poche altre. Il sistema di tassazione non è sviluppato e il paese, così debole e non strutturato, una volta sottoposto alle regole europee è praticamente collassato.
La Germania è forte dal punto di vista agricolo e industriale, ma soprattutto sa fare i propri affari, cogliendo con una certa caparbietà le migliori occasioni sia nel campo agricolo che industriale.
L’Italia era pronta per entrare nella UE? Il Meccanismo Europeo di Stabilità MES, una specie di tritacarne che mette a nudo debolezze strutturali di ogni paese, è stato un banco di prova temporaneo. L’Italia nel periodo di adesione al MES, ha visto la propria produzione industriale calare ai minimi storici. Una volta uscita dal MES si è ripresa ai valori standard.
A questo proposito la produzione industriale dell’Ungheria, una volta entrata nel MES UE, ha cominciato a calare fino a diventare negativa. Nel momento in cui si è svincolata dal Meccanismo ES, la sua produzione è salita in un anno del 5-7%.
Povertà ed EURO
L’Italia, dall’entrata in vigore dell’Euro nel 2001, della globalizzazione nel 2004 e con l’avvento della crisi del 2008, che l’ha trovata indebolita, ha perso 600.000 aziende produttive e commerciali e 270.000 aziende agricole. Il cambio Lira/Euro, accettato da Prodi, è stato tragico, quasi due mila lire per 1 Euro, mentre il Marco è stato cambiato 1 a 1. Abbiamo perso da subito quasi il 50% del potere di acquisto. Oggi ci troviamo a non potere più far fronte alle spese familiari correnti, molti non arrivano a fine mese, i poveri sono aumentati alla cifra di 14 milioni.
Produzione Industriale e agricoltura
La nostra struttura produttiva industriale e agricola è stata quasi del tutto demolita, per la concorrenza SLEALE di molti paesi a seguito della globalizzazione. Molte aziende ancora chiudono, il prezzo delle materie prime crolla, la grande distribuzione si prende anche l’80% del prezzo finale dei prodotti. Il lavoro latita.
Ci si chiede a che cosa serve aderire a questo sistema europeo, se questa UE non è stata in grado di risolvere i problemi dei singoli stati e delle singole popolazioni, ma passando sopra alle più disparate necessità, come uno schiacciasassi, non è riuscita a risolvere i problemi di quasi nessun paese. In effetti il paese più forte mangia ancora il più debole e l’abbiamo visto nel singolar tenzone tra Germania e Grecia.
Questa Europa così, non s’ha da fare…
La nostra idea di Europa
Europa, unione di paesi sviluppati e forti allo stesso livello di sviluppo socio-economico
Solo a queste condizioni, essendo tutti forti, nessuno sfrutta o sopprime più l’altro. Un’Europa di PARI. Se questa fosse la vocazione dello statuto e delle azioni della UE allora li sposeremo in pieno. Monti invece ha voluto “ammazzare la domanda interna, in attesa delle locomotiva tedesca”. Non possiamo accettare una tale dipendenza, nonostante la legge di Ricardo del “vantaggio competitivo” teoricamente lo affermi, ma praticamente abbia fallito in ogni dove.
Obiettivo primario del sistema economico di un paese, dovrebbe essere la “garanzia delle necessità basilari all’esistenza” per ogni cittadino.
Economia, scienza, educazione, etc. sono al servizio dello sviluppo umano, non al servizio di interessi di pochi. L’Autosufficienza economica è il presupposto per la piena occupazione necessaria per ottenere un potere di acquisto sufficiente. Qui le Multinazionali e i lobbisti di Bruxelles avrebbero poco spazio. In Italia in particolare la manifattura, una rivoluzione industriale e una riforma agricola potrebbero essere necessarie per favorire una ripresa sostanziale. Dobbiamo scegliere.
Ma come fare per far sviluppare ogni paese allo stesso livello, prima di aderire ad una unione di paesi?
Lo spirito del nazionalismo, afferma P.R. Sarkar, sta gradualmente scomparendo dall’orizzonte mentale e le popolazioni di tutto il mondo si sentono unite in una unica grande famiglia umana.
Restano comunque problemi di sviluppo locali che abbisognano di un approccio locale, a fronte di un ideale pur universale.
Un progetto di sviluppo richiede una popolazione unita, con obiettivi comuni. L’unità della popolazione si può realizzare attraverso un sentimento comune, che di solito si sviluppo da diversi fattori: medesime potenzialità economiche, medesimo sistema di sviluppo, medesima lingua, religione, etnia, storia, letteratura, territorio,…
Solo una popolazione unita può realizzare un progetto di sviluppo comune, forze centrifughe invece possono impedire la realizzazione di tale progetto.
La divisione politica degli stati e delle nazioni oggi non ha più senso.
Sarkar propone invece la costituzione di Zone Socio-Economiche Autosufficienti che tengano conto di questi fattori. Facciamo un esempio. L’Italia potrebbe diventare una zona socio-economica autosufficiente ad eccezione di Sicilia e Sardegna che sarebbero a loro volta altre ZSEA confederate all’Italia. Se zone socio economiche autosufficienti non verrebbero più sfruttate dal “Nord”… e potrebbero crescere con le proprie gambe, … in un coordinamento solidale tra le aree federate.
Così ogni paese europeo, potrebbe strutturarsi come Zona Socio-Economica Autosufficiente. Quando ogni paese si sarà sviluppato allo stesso livello di performances socio-economiche allora si potrà unire agli altri senza avere i problemi presenti nella UE di oggi, dove il pesce più grosso mangia ancora il pesce più piccolo. Serve un piano di intervento di sviluppo progressivo ed equilibrato tra industria, agricoltura, educazione, ricerca, infrastrutture, etc.
L’Italia potrebbe diventare una PROVINCIA dell’Europa
Ci si domanda pure: che siano in parte i fondamenti culturali di ogni paese a modellare il loro sviluppo e a creare barriere tra i popoli? Quale valenza hanno i principi religiosi in questa trasformazione? La Germania è Calvinista dove un povero è tale perché ha peccato. Il Regno Unito è a maggioranza Calvinista, il che significa che se una persona ha successo economico è perché è benvoluta da Dio. L’Italia è Cattolica e se ricevi un ceffone su una guancia dovresti rivolgere anche l’altra.
Beh! Allora se questi sono i fatti, per avere un sistema economico realmente comune dovremmo avere anche una visione della vita e un ideale costruttivo comuni. Che ne dite?
Tarcisio Bonotto
IRP-Istituto di Ricerca PROUT
Verona