Economia italiana in crisi: Auchan, francese, lascia l’Italia
Economia italiana in crisi: Auchan, francese, lascia l’Italia
3100 dei 18.000 dipendenti rischiano il posto…
Tarcisio Bonotto – 29/02/2020
Auchan, catena francese di supermercati e ipermercati, 126 punti vendita in 11 regioni, chiude i battenti in Italia. Saranno ridimensionati i 18.600 dipendenti, stimati al 2010. Viene chiuso un centro Auchan a Verona. Altro colpo basso all’economia nostrana.
La Conad, cooperativa, rileva i centri Auchan in Italia, senza spendere un euro (assieme al gruppo Mincione al quale chiederà aiuto nella ristrutturazione societaria). Conad è certamente una buona soluzione, ma vediamone i contorni.
I Collaboratori Auchan Retail Italia lanciano un appello:
Auchan Retail e AFM (Associazione Familiare Mulliez) abbandonano l’italia dopo 30 anni e lasciano 18.000 collaboratori al loro destino!
“Considerata la rilevanza nazionale della vertenza Auchan – BDC/CONAD, chiediamo l’attivazione di un serio processo di ricollocazione che coinvolga AFM e Conad, dando la precedenza nelle assunzioni al personale proveniente da Auchan Retail Italia.
L’AFM è ancora molto presente in Italia ed è proprietaria di aziende del calibro di Decathlon, Pimkie, Kiabi, Leroy Merlin, Bricocenter, Bricoman, Castorama, Lillapois, Ceetrus, Zodio, Fluch, Norauto, Oney, Midas, Jules.
Vogliamo invitare le altre aziende dell’AFM in Italia, aziende che puntano sulla Responsabilità Sociale come fattore differenziante, a cercare una soluzione di ricollocamento per i collaboratori in esubero di Auchan Retail Italia (in particolare riguardo agli 800 collaboratori della sede centrale, dei depositi e delle sedi regionali)”.
Con questo ennesimo episodio mi sovviene alla mente il mantra economico invocato più di frequente da Sindacati e Governo: “cerchiamo investitori per far funzionare le nostre aziende!”. Perché l’investitore estero viene in Italia? Perché qui trova il terreno fertile per guadagnare. Certo ci dà lavoro, ma si riporta in patria gran parte degli utili, soldi degli italiani che se ne vanno oltre cortina e non vengono investiti per far crescere l’economia locale. Ma non è finita: ad un certo punto, in un momento di crisi dei guadagni, l’investitore toglie il disturbo e lascia dietro di sé solo macerie. Poi, ancora una volta, Sindacati e Governo ritentano e cercano un novello investitore per queste aziende in crisi.
Vi ricordate la crisi finanziaria del 2008? Ebbene la Motorola nel novembre 2008, chiude il centro ricerche di Torino e ridimensiona le sedi di Roma e Milano, torna a Chicago, negli USA lasciando a casa 400 ingegneri italiani. Recentemente la Wirpool: avrebbe deciso di produrre all’estero, dove tutto costa meno, e di lasciare a casa 500 lavoratori/trici. Ci sono circa 350 vertenze aziendali sul tavolo del Governo, aziende che stanno chiudendo o delocalizzando. Il bollettino sembra proprio di guerra, una guerra combattuta tra proprietari delle aziende e chi alla fine fa funzionare tali aziende, i lavoratori e le lavoratrici.
Ma ripercorriamo la vicenda Auchan un po’ più da vicino.
I supermercati e ipermercati Auchan appartengono al gruppo Auchan che comprende 23 aziende partecipate all’84%, di proprietà della Associazione Famiglia Mulliez (AFM). Alla medesima famiglia appartengono in totale circa 100 aziende partecipate a quote variabili dal 10% al 95% e solo 4 di proprietà al 100%.
Sono di proprietà della stessa famiglia i marchi famosi a Verona, il “Leroy Merlin”, fondato da Adolphe Leroy e Rose Merlin, giunto in Italia nel 1979, e Bricoman, Bricocenter (Italia), raggruppati con altre 12 aziende in Adeo Group, la holding terzo gruppo più grande nella vendita di beni di consumo per il bricolage e la decorazione. Infine anche i negozi Decathlon, società francese di vendita al dettaglio di articoli sportivi e per il tempo libero, creata nel 1976 da Michel Leclercq.
Le particolarità della Associazione Famiglia Mulliez, sono a dir poco sensazionali, un po’ come la Ferrero italiana.
Nel 2019, la Mulliez Family Association conta 700 membri. “Creata nel 1955, al fine di garantire la successione di Louis Mulliez, con l’obiettivo di mantenere intatto il patrimonio di quest’ultimo e distribuire circa l’80% di tale patrimonio in modo teoricamente egualitario tra i suoi 11 eredi. La famiglia Mulliez ha una visione storica dell’azienda, in quanto tale è ostile alla richiesta di finanziamenti esterni. Sotto la guida di Gérard Mulliez-Cavrois, fondatore di Phildar, padre di Gérard Mulliez (Auchan), l’associazione sta espandendo la sua azione a finanziare progetti imprenditoriali per i familiari. Nessuna delle società del gruppo Mulliez è quotata in borsa. Quando creano una nuova società, l’associazione entra nel capitale per sostenerlo finanziariamente e talvolta può attendere il ritorno dell’investimento solo tramite dividendi. Le loro società sono organizzate per resistere alle crisi, come un conglomerato robusto di distribuzione. I profitti vengono spesso reinvestiti per continuare il progetto di sviluppo del patrimonio”. (Fonte: Wikipedia).
Scrive Emanuele Scarci:
“Vale 8 miliardi di euro l’impero in Italia della famiglia francese Mulliez, proprietaria di numerose catene nella grande distribuzione. Il dato emerge dal rapporto annuale dell’Ufficio studi di Mediobanca.
Nel dettaglio, l’aggregato degli interessi italiani riconducibili alla famiglia Mulliez (con i marchi Auchan-Simply, Decathlon, Leroy Merlin, Bricocenter, Bricoman, Norauto, Kiabi e Pimkie) ha toccato nel 2017 gli 8 miliardi di fatturato, facendone il primo gruppo estero attivo nella grande distribuzione italiana, al 14esimo posto nella classifica delle società industriali e di servizi italiani.
Non è tutto oro però. Nella galassia Mulliez si allarga la voragine nel business del largo consumo: nel 2017 Auchan a fronte di ricavi per 1,99 miliardi perde 201 milioni (-65,8 l’esercizio precedente) mentre Simply con fatturato di 2,09 miliardi accusa una perdita netta di 187 milioni (-108). In tutto sono 388 milioni di perdite. Molto parzialmente compensate da Decathlon Italia che su 1,3 miliardi di ricavi realizza profitti per 43 milioni.
Dello stesso valore circa le attività italiane di un’altra famiglia francese, i Besnier, proprietari di Parmalat: gli asset italiani del gruppo Lactalis hanno toccato nel 2017 i 7,9 miliardi, facendone il secondo gruppo alimentare dietro Ferrero”. (25 ottobre 2018 – Emanuele Scarci – e.scarci709@gmail.com)
Massa e Carrara: un caso eclatante di spogliazione finanziaria
Un’altra simile situazione di progressivo impoverimento della società locale ad opera di gruppi esteri è Massa e Carrara. Un tempo il marmo estratto veniva lavorato da circa 100 famiglie locali, creava reddito ed entrate fiscali. Oggi i blocchi di marmo bianco estratto a prezzi stracciati da circa 80 aziende, molte estere, in 200 cantieri, viene spedito all’estero senza venire lavorato. Inoltre i danni ambientali arrecati, sono a spese dei Comuni che risultano essere tra i più poveri d’Italia, nonostante le risorse naturali.
Il principio economico più adeguato in questa situazione dovrebbe essere “le materie prime non devono essere esportate” direttamente, ma devono essere lavorate in loco per produrre lavoro, reddito ed entrate fiscali.
Italia Colonia di Aziende Estere
A questo punto una domanda è d’obbligo: Come mai abbiamo così tante aziende di proprietà estera sul nostro territorio? Le vediamo arrivare nei momenti di benessere economico. Promettono occupazione e prosperità. Poi quando meno te lo aspetti, in un momento di congiuntura economica sfavorevole, tolgono il disturbo. Nel frattempo hanno portato in patria molti soldi racimolati e non reinvestiti in Italia. Un danno enorme per l’economia locale. Questa situazione di depauperamento continuativo dell’economia italiana, deve finire se vogliamo una ripresa economica e il benessere delle famiglie italiane.
Sono passati in mani estere 12 marchi italiani, tra gli ultimi: PIZZA: PizzaBo, Start UP, DOLCIUMI: Pernigotti, GELATI: Grom (C. Petrini), BIRRA: Birra del Borgo. PASTA e RISO: Garofalo e Scotti, ALCOLICI: Stock 84, CIOCCOLATO ARTIGIANALE: Amedei, BIO: Fattorie Scaldasole, VINO: Chianti classico, PASTICCERIA: Cova Milano, SPUMANTI: Gancia, INSACCATI: Salumificio Rigamonti.
Sono più di 60 le aziende italiane passate al controllo estero o compartecipate: non vogliamo arrecarvi disturbo qui e rimandiamo alle note in calce l’elenco straordinario dei fiori all’occhiello che hanno fatto la storia italiana.
Vi è un problema nel sistema liberista.
La crisi del sistema produttivo e distributivo attualmente in voga, nel sistema economico liberista, sembra sia dovuta a due fattori chiave: l’eccessiva concentrazione della ricchezza prodotta in mano a poche persone (e questo alla lunga genera depressioni economiche), l’aumento del GAP-Salariale, vale a dire il differenziale tra profitti e salari, per il quale l’eccesso di liquidità aziendale viene investito in Borsa, generando di tanto in tanto delle Bolle Speculative e Crack finanziari.
Vi è una proposta sensata e razionale nella teoria economica PROUT (Teoria della Utilizzazione Progressiva). Si dice che per escludere l’eccessiva concentrazione di ricchezza in mano a poche famiglie o persone, tutte le attività che hanno attinenza con i beni primari (alimenti, vestiario, abitazione, educazione, etc), che vanno a toccare direttamente il livello di sussistenza della popolazione, debbano essere gestite in modo COOPERATIVO. Circa 370 aziende in Italia si stanno orientando in questa direzione, i lavoratori/trici si ricomprano l’azienda in crisi e questa nella maggior parte risorge, si sviluppa e si consolida. Il lavoro a responsabilità collettivo sembra funzionare. Il reinvestimento degli utili in azienda è maggiore che nelle aziende private e la distribuzione degli utili è più omogenea e socialmente rilevante.
Certo con la CONAD Cooperativa il passaggio dalle attività dalla multinazionale al sistema distributivo a responsabilità condivisa (cooperativa) è un buon passo. Rimane l’incognita di quanto le COOP italiane siano delle vere e proprie cooperative e quando siano invece delle aziende private mascherate da Coop. Infatti con l’attuale statuto italiano delle cooperative nato nel 1948, dalla legge Basevi, non si possono distribuire gli utili. Per le cooperative Mondragon dei Paesi Baschi, nate nel 1954 ad opera di un prete, Arizmendarieta, lo scopo primario è dare lavoro a tutti, secondo, un salario adeguato, terzo una adeguata redistribuzione degli utili come incentivo. Vi son 40 studi che affermano come le Coop Mondragon siano più efficienti in molti aspetti delle parallele aziende private.
Per questa ragione dovremmo cambiare lo statuto delle Cooperative Italiane, legge Basevi del 1947-48.
Una buona notizia: Ce la facciamo a gestirle noi le nostre aziende? Yes.
A questo proposito mi ha molto toccato il processo di riconversione di un’azienda di legatoria editoriale, la Zanardi di Padova, sommersa dai debiti e sull’orlo del fallimento. In un’accesa discussione sul futuro della azienda che contava 100 persone, la Commissaria chiede: “Ma chi rilegava i libri in Azienda?”, “Noi”, risposero i/le lavoratori/trici. “Allora perché non continuate a produrli voi?”. E così iniziò l’avventura del “worker buyout”, l’azienda gestita dai lavoratori/trici. “Uniti si può fare, oggi saremmo tutti disoccupati”[1]
In conclusione
Per non dover rivedere gli stessi scenari di crisi, le aziende di produzione e distribuzione dei beni primari, agricole e industriali, devono essere gestite da cooperative, per una più proficua cooperazione, migliore distribuzione della ricchezza, maggiore coesione e stabilità sociale.
Il nostro sistema liberista di proprietà privata delle medie e grandi attività economiche sta facendo acqua da molte parti, e sembra sulla via del tramonto, non rispondendo più alle necessità della popolazione. E’ d’obbligo perciò proporre un nuovo assetto della nostra produzione e distribuzione che vada a beneficio dell’intera società italiana. Il Governo e i sindacati dovrebbero aiutare in questa riconversione.
[1] https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/12/25/padova-lazienda-che-rilega-libri-rinasce-grazie-agli-operai-che-lhanno-rilevata-uniti-si-puo-fare-oggi-saremmo-tutti-disoccupati/5634627/
Società e marchi italiani passati all’estero:
- Fiorucci, Maison di moda (Edwin International)
- Ferretti, gli Yacht (Shandong Heavy Industry-Weichai Group)
- Krizia, passata a Marisfrolg Fashion Co.
- Lvmh, titolare di Loro Piana (nel 2013) e di Bulgari (fondo francese Kering proprietario anche di Gucci a Bottega Veneta, Pomellato, Dodo, Sergio Rossi, Brioni, Richard Ginori)
- Valentino (Mayhoola Investments (Qatar))
- Gianfranco Ferrè – Paris Group (Dubai)
- La Rinascente – (Central Group of Companies – Thailandia)
- Poltrona Frau, (Haworth – USA)
- Versace (stilista Michael Kors)
- La giapponese Itochu Corporation ha acquistato: Mila Schon, Conbipel, Sergio Tacchini, Belfe e Lario, Mandarina Duck, Coccinelle, Safilo, Ferrè , Miss Sixty-Energie, Lumberjack e Valentino S.p.A.
- Vivendi diventa primo azionista di Telecom Italia
- Wind, nelle mani della russa VimpelCom
- Alla Nestlè: Marchio Italgel (Gelati Motta, Antica Gelateria del Corso, La Valle degli Orti), Acqua minerale Sanpellegrino e controllate (Levissima, Recoaro, Vera, San Bernardo e Panna)
- Galbani, Locatelli, Invernizzi e Cademartori sono proprietà di Lactalis, il Re del Camembert che si è comprato Parmalat, poi Eridania Italia.
- Gli oli Cirio-Bertolli-De Rica alla spagnola Deoleo, già titolare di Carapelli, Sasso e Friol.
- Caramelle Sperlari, Saila, Dietorelle, Dietor e Galatine (gruppo tedesco Katjes)
- Birra Peroni, con marchi Peroni e Nastro Azzurro (colosso sudafricano SABMiller)
- Star, proprietaria di diversi marchi come Pummarò, Sogni d’oro, GranRagù Star, Orzo Bimbo, Risochef, Mellin (spagnola Gallina Blanca del Gruppo Agrolimen)
- Italcementi (HeidelbergCement)
- Pirelli parla cinese: ChemChina
- Merloni è uscita definitivamente dalla scena degli elettrodomestici: Whirlpool ha di fatto acquisito il 56% del gruppo di Fabriano salendo al 60,4%.
- Utility romana Acea (23% a francese SUEZ)
- Magneti Marelli passa ai giapponesi di Calsonic Kansei
- Edison (Edf)
- Saras, controllata dai Moratti dai russi di Rosneft
- Terna e Snam controllate al 35% da State Grid of China
- Ansaldo Energia di Shanghai Electric al 40%
- Fiat Ferroviaria è controllata da Alstom
- Tecnomasio-Brown Boveri sotto la canadese Bombardier
- AnsaldoBreda e il 40% di Ansaldo Sts alla giapponese Hitachi
- Piaggio Aerospace al fondo sovrano arabo Mubadalae
- Ducati Motor Holding S.p.A. (Audi AG del Gruppo tedesco Volkswagen)
- Lamborghini (Audi AG del Gruppo tedesco Volkswagen)