L’Italia riparte dallo sviluppo Agricolo-Industriale
L’Italia riparte dallo sviluppo Agricolo-Industriale autosufficiente
Tarcisio Bonotto – Istituto di Ricerca PROUT
14/03/2020
Recentemente, a seguito della crisi economica in atto, generata dall’emergenza coronavirus, il Ministero alle Infrastrutture e dei Trasporti ha proposto la ripartenza dei lavori pubblici, per circa 120 miliardi di euro, per creare posti di lavoro e mettere in moto l’economia.
Non crediamo che una tale iniziativa possa essere la politica economica adeguata per la ripresa dell’economia, se guardiamo infatti lo storico dello sviluppo italiano, dagli anni 60, troveremo che si è partiti da una buona agricoltura, da produzione di macchine pre-raccolto e attrezzature post-raccolto, per la trasformazione agro-alimentare, poi l’industria, la chimica, la metalmeccanica etc. Le infrastrutture sono arrivate come necessità di sviluppo di una economia ormai in movimento ed espansione.
Oggi si vorrebbe metterle a traino dello sviluppo. “No possible” come si dice, quando sono finiti i lavori infrastrutturali non rimarrà altro, non produrranno nulla e non manterranno i posti di lavoro creati per la costruzione delle infrastrutture.
Secondo la teoria economica PROUT [Teoria della Utilizzazione PROgressiva (delle risorse)], il settore più importante dell’economia è l’agricoltura, e in agricoltura il fattore più importante è l’acqua. E’ da questo settore che può iniziare, su basi solide, lo sviluppo di un paese (l’industria non agricola verrà di conseguenza). La nostra agricoltura occupa circa il 3,5% della popolazione e dal 2001 circa 290.000 aziende agricole di piccole dimensione e private, hanno chiuso per concorrenza dei prodotti esteri e per squilibrio strutturale, impossibilità di meccanizzazione a causa delle piccole dimensioni che una volta hanno fatto grande la stessa produzione agricola italiana). Il settore lattiero è stato devastato.
Stanno nascendo grandi aziende monopolistiche private che utilizzano le terre rimaste incolte. Se da un punto di vista dell’efficienza si dice sia un bene, dal punto di vista della stabilità nel lungo periodo ciò è un rischio.
Basta importazioni di ciò che si può produrre in loco.
Proponiamo la COOPERAZIONE COORDINATA in agricoltura. Le aziende in crisi e non dovrebbero raggrupparsi e formare delle cooperative con una estensione dei terreni produttivi sufficiente ed ‘economicamente sostenibile’. Dovremmo sviluppare localmente o a livello regionale la produzione dei macchinari utili alla produzione agricola, in modo da utilizzare la massima meccanizzazione nei processi agricoli. I giovani sarebbero molto più ispirati a lavorarvi. Il singolo imprenditore con piccoli appezzamenti spesso non ce la fa, ma una cooperativa è in grado di meccanizzarsi al massimo grado.
Aziende di trasformazione parte integrante della cooperativa
Uno dei problemi grossi in agricoltura è il prezzo dei prodotti agricoli sempre molto tirati dalla grande distribuzione. Ebbene le aziende di trasformazione dovrebbero essere parte integrante della cooperativa agricola, ed essere realizzate dove vi è presenza delle materie prime. In una zona dove si producono 20.000 quintali di soia, lì dovrebbe nascere una cooperativa di trasformazione. In questo modo i produttori possono avere un giusto prezzo per le materie prime prodotte.
La terra della Bassa Veronese, come tante altre terre, ha una benedizione, qualsiasi cosa si pianti cresce rigogliosa, ebbene tutte le materie prime prodotte vengono vendute ad aziende italiane ed estere, e tutti gli agricoltori si lamentano per i bassi prezzi. Devono essere realizzate aziende di trasformazione in loco.
Oltre alle cooperative agricole e di trasformazione, dovrebbero essere create le cooperative di distribuzione dei prodotti. Rispettosi del concetto che i beni primari per la sussistenza debbano essere gestiti attraverso cooperative e non dai privati.
Il sistema cooperativo oggi è regolato dalla legge Basevi del 1947-48, che pone dei limiti sia per lo sviluppo delle cooperative, sia alla loro vera natura di lavoro coordinato e di responsabilità collettiva.
I tempi sono cambiati e questo statuto dovrebbe essere modificato permettendo una gestione democratica della coop, una divisione degli utili ai soci lavoratori e benefici per i soci fruitori delle cooperative di distribuzione. L’obiettivo principale delle coop dovrebbe essere di creare massima occupazione.
Quindi agevolazioni per le aziende cooperative agricole, sostegno con finanziamenti agevolati per gli acquisti di macchinari, e per la creazione di aziende cooperative di trasformazione.
In particolare, se l’Italia tendesse alla AUTOSUFFICIENZA ECONOMICA, in caso di crisi economica internazionale, non ci sarebbero ripercussioni negative sulla sua economia. Afferma P.R. Sarkar: “I paesi che più dipendono dall’estero per i propri approvvigionamenti, sono quelli che soffriranno di più in caso di calamità naturali o crisi indotte dall’uomo“.
La globalizzazione economica ha fallito, l’Italia si è impoverita e non è più produttiva come un tempo e in grado di soddisfare la domanda interna. La nostra proposta strutturata è di iniziare dallo sviluppo agricolo, dall’industria pre-raccolto e di trasformazione, in autonomia, per quanto possibile. Vietato importare ciò che possiamo produrre in loco. Se ogni paese si comportasse così, andremmo verso un equilibrio economico generalizzato.
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