Effetti delle politiche WTO sulla risicoltura italiana
di Tarcisio Bonotto
L’Istituto di Ricerca Prout Italia ha realizzato una ricerca analizzando come difendersi dalle politiche del WTO riducendo drasticamente la tendenza all’esportazione e ridimensionando la produzione di riso in funzione del consumo locale, elementi che potrebbero essere necessari nei prossimi anni quando le politiche liberiste del WTO imporranno ampi tagli alla produzione di riso in Europa
Italia, paese forte esportatore di riso. Non si direbbe, ma dalle statistiche riportate nel rapporto annuale dell’Ente Nazionale Risi, si ricava che l’Italia, oltre che consumatore, è un forte esportatore di riso. Il consumo interno arrotondato è stato nel 1999 di 279.000 tonnellate contro le 362.000 vendute in Europa, a paesi produttori di riso e non produttori, ed altre 163.000 tonnellate in vari paesi del mondo, per un totale di circa 815 mila tonnellate di riso lavorato.
In pratica i due terzi del riso sono esportati ed 1 terzo consumati in Italia. In particolare l’esportazione è di circa il 64% del totale.
Questo quadro sintetico dimostra una tendenza all’esportazione dell’Italia, comune a molti paesi del terzo mondo, creatasi per mantenere la bilancia dei pagamenti o per ottenere valuta pregiata. I paesi in via di sviluppo in genere esportano il 60% della loro produzione. A causa delle fluttuazioni inaspettate dei prezzi dei prodotti della borsa internazionale e a causa della concorrenza, molti di questi paesi hanno dismesso la produzione agricola interna che li rendeva autosufficienti, per indebitarsi con la produzione da esportazione (cash crops). Come risultato sono sottoposti ad un progressivo indebitamento, e si sono privati della possibilità di soddisfare i bisogni interni. Una situazione altamente instabile. L’Italia soffre, nel settore risicolo, degli stessi mali e incertezze dei paesi esportatori: incertezza sulle esportazioni (prezzi e quantità) e sull’occupazione del settore.
E’ solo da circa un anno, comunque, che si è instaurato il tarlo di una motivata preoccupazione nel settore risicolo, per il decreto WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) e delle politiche GATT, sottoscritte anche dall’Italia, che impongono all’Europa di importare riso da paesi terzi.
Secondo gli accordi GATT (General Agreement on Tariffs and trade – Accodi generali sulle tariffe e il commercio) l’Europa è chiamata ad importare circa 600.000 tonnellate di riso (1/3 della sua produzione totale di 1.800.000 tonnellate) a dazio zero, a prezzi stracciati e ciò comporta una diminuzione, entro un anno, della produzione europea e in parte quella italiana, di un’eguale quantità. L’Italia con le sue 5500 aziende produttrici di riso ed una stima di circa 50.000 addetti, se così fosse, dovrà ridimensionare drasticamente la propria produzione.
Ma vi è un altro fattore associato ancora più preoccupante: il riso italiano DOC, viene già prodotto in alcuni dei paesi di abituale esportazione: in Giappone si produce il riso Arborio ed in California il Carnarolo.
Questo fatto anche se sporadico per ora, dimostra chiaramente, secondo i principi della psico-economia, che la tendenza generale è di produrre in loco ciò che magari fino ad ora è stato importato. E’ una tendenza ineluttabile e potremmo essere sicuri che questa tendenza non retrocederà.
IGP e Marchi di Qualità la soluzione? Al convegno in Fiera a Verona del 5/03/2002, su “WTO e risicoltura italiana”, si è data molta enfasi all’introduzione delle IGP e dei marchi di qualità per essere competitivi sul mercato europeo e mondiale.
Certamente l’istituzione dei marchi di qualità, delle IGP ecc. sono un buon biglietto da visita per i produttori, ma non potranno invertire sostanzialmente la tendenza al taglio della produzione e quindi mantenere lo stesso tasso di esportazione. Non può essere questa la soluzione finale al problema dei tagli alla produzione e della concorrenza nel settore, anche se potranno momentaneamente mantenere alta la qualità e stimolare le vendite.
Dovremmo monitorare, per i prossimi anni, le progressive tendenze di recettività del mercato comunitario e mondiale per poter correre ai ripari ed evitare grossi traumi all’occupazione italiana.
Ruolo dell’agricoltura nell’economia nazionale. I prodotti agricoli hanno in genere un basso valore aggiunto. Per dei sicuri profitti è meglio esportare beni strumentali ad alta tecnologia e ad alto valore aggiunto. La libera esportazione dei prodotti agricoli, quindi, non è il migliore strumento per la produzione di reddito per i lavoratori italiani. Lo potrà essere in un certo momento storico ma la progressiva tendenza a produrre in loco tutto ciò che è possibile, la rende estremamente vulnerabile.
Possiamo qui sottolineare che il compito dell’agricoltura è di soddisfare innanzitutto le necessità alimentari locali e di creare l’indotto, delle aziende di trasformazione e del settore macchine agricole e associate, i cui prodotti possono essere facilmente esportati.
Opposizione alle politiche WTO e salvaguardia delle produzioni locali.
Non dovremmo permettere che le politiche del WTO distruggano l’equilibrio e il tessuto produttivo rurale/agricolo locale, sviluppatosi in decine o centinaia di anni, con delle ingiunzioni studiate ad hoc attraverso il meccanismo del liberismo economico estremo.
Nello stesso giorno in cui si teneva il convegno in Fiera, in una atmosfera di scontata accettazione della bontà delle politiche del WTO, giunse la notizia che il presidente Bush annunciò il rialzo dei dazi di importazione dell’acciaio Europeo da 8% al 30%, per 3 anni, fino all’entrata in vigore definitiva dei trattati WTO. Questo per salvaguardare le industrie USA, produttrici di acciaio, che avevano protestato.
Questo fatto, se da una parte dimostra l’ipocrisia dell’amministrazione USA, nell’imporre solo agli altri paesi la necessità di liberalizzare l’economia, dall’altra dimostra come è necessario salvaguardare il tessuto economico locale da fattori di disturbo esterni, per mantenere un certo equilibrio economico. (Da sottolineare che il momento di maggiore sviluppo dell’economia americana è stato durante il periodo del protezionismo). Salvaguardare le produzioni locali: come Bush anche l’Europa potrebbe salvaguardare le proprie produzioni, per lo meno per tre anni fino al 2005, data di entrata in vigore degli accordi. Il WTO è un organismo nato da corporazioni americane, europee e asiatiche, ma prevalentemente USA, in collaborazione con il governo americano, che suggerisce e impone la liberalizzazione dei mercati a tutti i paesi firmatari. Lo impone in maniera sottile attraverso i suoi trattati TRIM, TRIPS, GATS, GATT ecc., si dice per favorire le grosse aziende multinazionali internazionali e il mercato USA.
Il mercato libero di cui parlano WTO, FMI e Banca Mondiale, non è in realtà libero, è controllato dai grossi detentori del potere economico. Per cui dovremmo optare per un mercato controllato, ma in un’economia più democratica.
Alcuni miti da sfatare. Da una parte si afferma che l’importazione di riso dai paesi poveri aiuterà il loro sviluppo.
In questa concezione vi è un mito da sfatare: chi beneficia delle esportazioni dai paesi cosiddetti poveri? In genere non è la popolazione ma pochi esportatori o commercianti, o forse le stesse multinazionali che hanno acquistato le risaie. La popolazione è spesso sfruttata e questo avviene in tutti i paesi in via di sviluppo. Non è certamente aprendo i nostri mercati per favorire alcuni esportatori, che potremmo aiutare lo sviluppo dei paesi poveri. Si crea un doppio circolo vizioso: da una parte si arricchiscono di più i commercianti e dall’altra in Europa si mettono solo in pericolo migliaia di posti di lavoro.
Comunità economiche tra paesi a viluppo omogeneo.
In questo contesto è, inoltre, da sottolineare che la liberalizzazione dei mercati realizzata tra paesi con livelli di sviluppo non omogenei, come nel caso dei alcuni paesi aderenti al NAFTA (North Atlantic Free Trade Agreement), USA e Messico, provoca immensi danni per i paesi più deboli.
Per questa ragione dovrebbero essere realizzate delle comunità economiche i cui paesi abbiano potenzialità e sviluppo economici similari, come ad esempio tra i paesi della ex Unione Sovietica, tra i paesi del Sud-Est asiatico, la ASEAN, SAARC etc. All’interno di queste comunità economiche il libero mercato non porterà danni per alcun paese.
WTO: Quote di produzione per il riso?. Le politiche del WTO, FMI, e WB stanno distruggendo il tessuto produttivo locale cresciuto in decine se non centinaia di anni di lavoro e tradizioni.
Le politiche economiche della specializzazione produttiva nazionale, ispirate all’idea dell’economista Ricardo, hanno portato a delle situazioni paradossali. La Germania e la Francia hanno delle forti eccedenze di latte e derivati per la loro configurazione geografica ed altri fattori. All’Italia, produttrice meno forte di latte e derivati, vengono assegnate delle quote di produzione locale del latte e il resto deve essere importato dalla Germania e Francia. Allo stesso modo sono state assegnate delle quote di produzione per grano duro che importiamo dalla Francia, per gli agrumi della Spagna, l’olio di oliva della Grecia ed è possibile che ci troveremo prima o poi anche le quote di produzione di riso a causa dell’importazione da paesi terzi.
Conseguenze possibbili: molte terre specializzate nella produzione di agrumi, olive etc, per la loro ubicazione, per il clima, rimarranno incolte o dovranno essere convertite ad altre colture, sempre se possibile. Si crea una forte instabilità economica e di conseguenza sociale.
Domanda: i lavoratori di questi settori ‘quotati’ che non producono più secondo il fabbisogno, sono stati assorbiti in altre attività produttive? Sembra proprio di no. Hanno dovuto trovarsi altre occupazioni.
Domanda: in caso di calamità naturali, guerre etc, se la Germania e Francia non fossero più in grado di fornirci questi prodotti, quanto tempo ci vorrebbe per produrli nuovamente in loco? Per il latte per lo meno 3 anni.
Altri fattori: Siamo sensibili al problema dell’inquinamento. Vale la pena sottolineare che le politiche della specializzazione hanno aumentato a dismisura lo scambio di merci, il traffico e l’inquinamento ambientale per la necessità di trasportare arance dalla Spagna, olio dalla Grecia ecc.
Proposte di soluzione a medio termine: Autosufficienza nelle produzioni agricole, limitazione della tendenza all’esportazione, aumento della domanda interna. Quello che proponiamo e ciò sembra essere più sicuro per l’occupazione, più efficace per la garanzia delle necessità basilari per tutti, è una produzione locale autosufficiente in sintonia con le esigenze locali, siano esse umane, occupazionali e ambientali. Il surplus eventuale della produzione di riso certamente va collocato in un mercato europeo e mondiale che lo richiede. In un periodo in cui si è incrinato il fronte dell’esportazione sarebbe meglio riequilibrare l’impegno produttivo verso le esportazioni. Non possiamo neppure accettare i tagli della produzione interna, previsti dalla politica attuale del WTO a causa delle importazioni obbligate di riso.
Quindi se già vi sono sentori di crisi per la risicultura italiana potrebbe essere necessario correre ai ripari prima che la bolla scoppi e pensare di orientare progressivamente la produzione italiana del comparto riso verso un incremento della domanda interna:
- Creare le condizioni perché aumenti la domanda interna, il riso ha ancora molte possibilità. Ridimensionare progressivamente la tendenza all’esportazione riconvertendo le produzioni del riso verso altre produzioni
- Risulta essere molto insicura l’esposizione alle incertezze (prezzi/domanda) del mercato estero, e puntarvi tutte le speranze della risicultura italiana potrebbe non portare ai risultati programmati.
Giovedì, 21 Agosto 2003
Tarcisio Bonotto
Istituto di Ricerca Prout Italia
www.prout.it & www.proutworld.org
Referenze:
Rapporto Annuale sul Riso in Italia 2000-2001 – Ente Risi – Milano
Krtashivananda, Prout-il Neo-Socialismo del 21° secolo – Edizioni Proutist Universal
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