Allevamenti intensivi: Critica dell’ambientalismo puro
11/08/2024 – Tarcisio Bonotto, IRP Staff
Questa analisi si rifà alla “proposta di legge sugli allevamenti intensivi” promossa da diversi/e deputati/e, che prevede la riduzione degli animali allevati, la conseguente riduzione dell’inquinamento e dei benefici per la salute. Se alcune analisi e diversi obiettivi risultano condivisibili, vi sono delle imprecisioni e degli errori, ma ciò che è più grave è il metodo di applicazione delle soluzioni che, nei termini previsti e nel contesto agricolo e socio-economico italiano, rischia di causare una catastrofe. Vediamone i contorni e le possibili alternative.
La proposta di legge:
Disposizioni in materia di riconversione del settore zootecnico per la progressiva transizione agro-ecologica degli allevamenti intensivi.
Una proposta di legge d’iniziativa dei deputati Evi, Brambilla, Deborah Bergamini, Borrelli, Bonelli, Cherchi, Sergio Costa, Dalla Chiesa, Di Lauro, Dori, Ghirra, Grimaldi, Fratoianni, Orlando, Zanella, presentata il 6 marzo 2024.
Estrapolato dal testo originale:
Chiusura di molte attività agricole e allevamento
L’80 per cento dei fondi dell’Unione europea per l’agricoltura italiana è destinato attualmente al 20 per cento dei beneficiari. Un sistema che penalizza le piccole aziende e favorisce quelle più grandi: secondo i dati Eurostat l’Italia ha perso oltre 320.000 aziende in poco più di dieci anni (tra il 2004 e il 2016): un calo del 38 per cento tra le «piccole» paragonato a un aumento del 21 per cento delle aziende «molto grandi» e del 23 per cento di quelle grandi.
Fattori esterni e genetica
La zootecnia intensiva può essere economicamente vantaggiosa per le aziende grandi e molto grandi, ma la sua elevata dipendenza da fattori esterni (energia, mangimi, acqua) la rende particolarmente fragile, così come le condizioni di allevamento (tanti animali geneticamente simili rinchiusi in spazi ristretti) la rende vulnerabile alle sempre più frequenti epidemie.
Cereali importati
Circa due terzi dei cereali commercializzati in Europa si trasformano in mangime e circa il 70 per cento dei terreni agricoli europei sono destinati all’alimentazione animale, basata principalmente su coltivazioni, come il mais, che richiedono un grande uso di acqua, anche questa una risorsa sempre più scarsa.
In Italia produciamo circa 15 milioni di tonnellate di cereali e ne importiamo altre 15 milioni di ton/anno.
Proteine animali e vegetali
Secondo le stime dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) e dell’Organizzazione mondiale della salute (OMS), un ettaro coltivato a cereali fornisce cinque volte più proteine di un ettaro destinato alla produzione di mangimi per l’allevamento da carne, mentre quelli coltivati a legumi ne forniscono dieci volte di più.
Emissioni di ammoniaca in zootecnia
I limiti previsti dalla normativa vigente e in fase di attuazione riguardano principalmente le emissioni di ammoniaca (il settore zootecnico è responsabile di oltre due terzi delle emissioni nazionali, pari a 274.000 tonnellate su circa 345.000 imputabili all’intero settore agricolo), l’inquinamento da polveri fini, in particolare il particolato fine PM2,5 (di cui gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di formazione), l’inquinamento del terreno e delle acque da azoto e suoi derivati (nei confronti dell’Italia la Commissione europea ha aperto la procedura di infrazione INFR (2018)2249 per violazione della direttiva 91/676/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1991, cosiddetta « direttiva nitrati »), e le emissioni climalteranti.
Morti per PM2,5
Si aggiunga che le emissioni degli allevamenti intensivi hanno conseguenze dirette sulla salute umana, in particolare legate al citato PM2,5. Secondo l’European environment agency (EEA) queste sono state responsabili di più di 50.000 morti premature (52.300) in Italia nel solo 2020. Dati drammatici che posizionano l’Italia al primo posto per morti premature causate dall’esposizione al PM2,5 e che comportano anche enormi costi sanitari, in particolare nelle zone come la Pianura Padana nelle quali si registra un’alta concentrazione di attività emissive, quali gli allevamenti intensivi. I dati pubblicati a novembre 2023 riportano 46.800 morti premature in Italia a causa di esposizione al PM2,5 e pongono il nostro Paese al secondo posto in Europa dopo la Polonia (47.300).
Acque inquinate da nitrati
All’inquinamento da nitrati, data l’alta solubilità in acqua di questi composti azotati, è strettamente legato il rispetto della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, cosiddetta «direttiva quadro sulle acque».
Cambiamenti climatici e strategie produttive
I sempre più frequenti eventi estremi e la siccità ormai cronica, anche nel nostro Paese, impongono la ricerca di una nuova efficienza alimentare che prediliga le produzioni a più basso consumo di risorse e favorisca l’adozione di diete salutari e a minor contenuto di prodotti di origine animale da parte di tutte le fasce della popolazione.
Le principali finalità della presente proposta di legge possono essere così sintetizzate:
- tutelare la salute pubblica, riducendo gli impatti degli allevamenti intensivi a partire dalle zone a più alta densità zootecnica;
- tutelare le risorse naturali a vantaggio della sicurezza alimentare delle generazioni presenti e future;
- contribuire al rispetto degli obiettivi in materia di clima e inquinamento;
- tutelare le realtà virtuose, rafforzando il sostegno economico, e permettere a quelle convenzionali di affrontare la necessaria riconversione;
- tutelare gli animali da allevamento diminuendone la sofferenza.
Gli articoli
L’articolo 1
Comma 1, richiama i princìpi costituzionali su cui si fondano le finalità della legge, in particolare in virtù della recente modifica attuata dalla legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, che ha aggiunto all’articolo 9 della Carta la tutela dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi e degli animali, sancendo altresì, attraverso la modifica all’articolo 41 della Costituzione, che l’iniziativa economica debba svolgersi nel rispetto della tutela della salute e dell’ambiente.
L’articolo 2
Prevede che lo scopo principale della riorganizzazione delle attività del settore zootecnico è quello di tutelare l’ambiente e la salute pubblica; il comma 2 prevede che debbano essere tutelate anche la biodiversità, gli ecosistemi e il benessere degli animali; il comma 3 dispone che la giusta transizione del settore zootecnico verso un modello compatibile debba tenere conto della disponibilità e conservazione delle risorse naturali e della tutela della salute.
L’articolo 3
Due mucche per ogni ettaro di terreno: chiuderanno tutte le aziende di allevamento
Reca la definizione di allevamento intensivo, basata su quella proposta dal Parlamento europeo e del Consiglio (COM (2022)156 final) che modifica la direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali, che stabilisce come soglia di densità massima sotto la quale un allevamento può considerarsi «estensivo» la densità di due unità di bestiame adulto (UBA) per ettaro di superficie agricola utilizzata (SAU). L’UBA è l’unità di misura della consistenza di un allevamento; per ogni specie, questa si ottiene applicando appositi coefficienti al numero dei capi presenti nell’azienda. In accordo con la definizione di «agricoltura intensiva» fornita dall’EEA, al criterio della densità si aggiunge quello dell’intensità di input esterni, in particolare per quanto riguarda la quota proteica dell’alimentazione animale, caratteristica comune agli allevamenti «senza terra» che utilizzano mangimi provenienti da coltivazioni molto distanti, in buona parte da oltreoceano.
L’articolo 4
Prevede, al comma 1, che vengano definite le modalità e i criteri per la riorganizzazione produttiva degli allevamenti intensivi e, al comma 2, che siano riconosciute adeguate risorse economiche sia per la transizione degli allevamenti tradizionali.
L’articolo 5
Comma 1, dispone la sospensione delle autorizzazioni per l’apertura di nuovi allevamenti intensivi e per l’aumento del numero di animali allevati negli allevamenti intensivi già esistenti;
L’articolo 6
Fondo per la riconversione del settore zootecnico: 5 milioni di euro all’anno.
Comma 1, istituisce il Fondo per la riconversione del settore zootecnico volto a sostenere le azioni previste dalla legge nonché le aziende nel percorso di riconversione delle pratiche zootecniche in chiave agroecologica …
In particolare al comma 1 si propone: “È istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, il Fondo per la riconversione agroecologica del settore zootecnico, destinato alla concessione di incentivi economici”. Comma 3: “Agli oneri derivanti dal presente articolo, pari a 5 milioni di euro annui per il triennio 2024-2026, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica” …
Alcune imperfezioni nell’analisi:
- la densità di due unità di bestiame adulto (UBA) per ettaro di superficie agricola utilizzata (SAU): dovrebbero chiudere tutte le stalle italiane!
- intensità di input esterni: cioè cereali importati da Canada, Turchia etc. Per favorire le produzioni locali dovremmo rendere produttivi i circa 3,5 milioni di ettari incolti (da almeno 3 anni), su 12,5 milioni circa produttivi.
Problematiche da considerare
- La riconversione del settore zootecnico è un processo lungo, dispendioso, e sistemico, di carattere sia culturale sia strutturale e deve essere sistemico. La mera allocazione di 5 milioni di euro all’anno, non potrà sortire i risultati sperati, per il fatto che sono molti i settori coinvolti in questa transizione ecologica.
- L’agricoltore da solo non è in grado di affrontare queste sfide che spaziano dalla trasformazione strutturale, organizzativa, logistica, economica, scientifica e culturale dell’azienda.
- Questa prospettiva deve per forza includere una trasformazione del sistema economico italiano, influenzato oggi dal liberismo, dalla concentrazione del valore del denaro in mano a pochi, dallo strapotere di poche corporazioni multinazionali. In effetti 50 anni fa una famiglia con 12 vacche da latte e 5 ettari di terreno riusciva a vivere bene, a mandare a scuola i figli, come si suol dire. Oggi nemmeno 300 vacche da latte e 80 ettari di terreno sono sufficienti a dare un reddito che possa garantire la sostenibilità dell’azienda di allevatori e agricoltori. Il colpevole principale è il prezzo troppo basso al campo o alla stalla dei prodotti agricoli. Oggi si confonde il costo di produzione con il prezzo avente un margine razionale. E le aziende non hanno utili per rinnovarsi e aderire alle normative, tanto meno per affrontare un cambiamento così radicale.
- I prezzi in agricoltura, oggi, vengono fissati da chi compra, non da chi produce. Questo stato di cose deve cambiare.
Proposte conclusive
Per affrontare la trasformazione del settore dell’allevamento e dell’agricoltura in generale è necessaria una riforma agraria sistemica. Non è possibile un cambiamento a macchia di leopardo o spot, perché ciò porterebbe al disastro per centinaia di migliaia di famiglie e del settore primario. Abbiamo già sperimentato il brusco passaggio dalle piccole aziende di allevamento con 10-20 vacche da latte con le quali si riusciva a mantenere la propria famiglia e mandare a scuola i figli. Oggi a malapena si riesce con 30 vacche da latte. Non è stata realizzata una riforma di aggregazione aziendale nel settore dell’allevamento e come risultato oltre 100.000 stalle hanno chiuso. Riportiamo alcuni punti salienti.
- Garantire un reddito adeguato agli allevatori, pagando loro i costi di produzione reali più un profitto razionale del 15% minimo del costo di produzione, per i loro prodotti.
- L’agricoltura deve avere lo stesso status dell’industria.
- Affrontare un problema annoso: da soli non si va da nessuna parte. E’ necessario promuovere l’aggregazione delle aziende. Si mantiene la proprietà dell’azienda e si lavora assieme in modo cooperativo coordinato, non subordinato. Ma ancora potrebbe non essere sufficiente.
- E’ necessario modificare il sistema cooperativo, la legge italiana sulle cooperative è obsoleta e non favorisce una vera cooperazione tra i soci (il modello Mondragon si avvicina forse di più all’ideale di cooperazione coordinata)
- Proponiamo un sistema agricolo cooperativo integrato. Aziende agricole, di allevamento, di frutticoltura, orticoltura, floricoltura, miele coltura, piscicoltura, etc. per aumentare la produttività, l’efficienza e la possibilità di massima meccanizzazione. Inoltre le stesse potranno realizzare la trasformazione dei prodotti, senza passarli a terzi. L’idea che le materie prime debbano essere trasformate in loco per creare occupazione, qui ha la sua piena realizzazione. Quindi panifici, pastifici, prodotti della soia, ittici, caseari, sottaceti, sughi, etc. Inoltre queste aggregazioni di aziende possono anche vendere i prodotti con le coop. di distribuzione. E’ un sistema che non richiede input esterni, che è sostenibile economicamente, e potrebbe sviluppare l’occupazione locale. Un modello socio-economico.
- E’ necessaria la pianificazione delle colture in funzione del fabbisogno, in modo da evitare l’eccesso di produzione e la svendita dei prodotti.
- Massima meccanizzazione in agricoltura, favorita dalla forza economica generata dall’aggregazione delle aziende
- In questa struttura aggregata si può realizzare anche ricerca su fertilizzanti che non danneggino l’ambiente, sulla rotazione delle colture per difendersi in modo naturale dai parassiti, invece di lasciarla alle università o centri privati.
- Qui gli utili aziendali permetteranno una pacifica trasformazione in senso ecologico, sostenibile, sano della produzione agricola, e senza sovvenzioni statali o UE.